Raccogliendo il testimone dalle numerose marce per la scienza che si sono svolte in tutto il mondo, decine di migliaia di persone hanno partecipato questo pomeriggio nel cuore di Washington, sotto una pioggia battente, alla manifestazione in difesa della scienza, minacciata dall’amministrazione di Donald Trump.
Molti i nomi di illustri scienziati che sono saliti sul palco, a cominciare da Nancy Roman, responsabile dei programmi di astronomia della Nasa, oltre diversi gruppi musicali che si sono succeduti per cinque ore sul palco allestito alla National Mall di fronte alla Casa Bianca.
Il corteo si è poi diretto verso il Campidoglio, sede del Congresso, dietro a numerosi striscioni: “La Science non è ideologia” oppure “I dati scientifici sono fatti”. Altre manifestazioni si sono svolte in decine di città americane, da New York a Los Angeles, così come prima, anche in omaggio alla Giornata della Terra, si erano svolte a Roma, Londra, Parigi.
Il presidente Donald Trump ha reagito con un comunicato pubblicato dalla Casa Bianca nel quale si sostiene che “una scienza rigorosa è essenziale agli sforzi della mia amministrazione per raggiungere il duplice obiettivo della crescita economica e della protezione dell’ambiente. Un proposito che i primi atti della sua amministrazione sembrano però smentire.
“Gli scienziati si rendono conto che i fatti scientifici sono troppo spesso ignorati nei dibattiti pubblici e sono rimpiazzati da opinioni e prese di posizione ideologiche”, ha spiegato Rush Holt, presidente dell’Associazione americana per i progressi della scienza (AAAS), la più grande organizzazione scientifica generalista, con oltre 120.000 membri.
Il budget federale americano per la ricerca rappresenta oggi meno della metà di quello degli anni Sessanta in termini percentuali rispetto al Pil. “Non possiamo semplicemente incrociare le braccia e supporre che tutti capiscano a che punto la scienza è cruciale per l’economia, la sicurezza nazionale, l’ambiente, la salute umana e tante altre cose”, ha sottolineato Eric Davidson, presidente dell’American Geophysical Union, che sponsorizza questa marcia cui aderiscono più di 220 organizzazioni scientifiche e istituti di ricerca del mondo intero.
Poco dopo il suo arrivo alla Casa Bianca, Trump ha firmato dei decreti immediatamente operativi per smantellare gli interventi a difesa dell’ambiente introdotti dal suo predecessore democratico Barack Obama e ha nominato alla guida dell’Agenzia di protezione dell’Ambiente (EPA) Scott Pruitt, notoriamente scettico nei confronti della veridicità dei cambiamenti climatici.
Durante la campagna elettorale, Trump aveva addirittura affermato che il riscaldamento del clima fosse una “bufala” inventata dai cinesi e promesso di recedere dall’accordo sul clima di Parigi. Il primo progetto di budget del presidente repubblicano prevede una riduzione del 31% dei fondi destinati all’Epa e tagli ai fondi di tutti gli Istituti nazionali per la sanità. (Askanews)
Cinque le sedi italiane dell’evento: Roma, Milano, Napoli, Torino e Vicenza.
Sabato 29 e domenica 30 aprile 2017 torna l’International #SpaceApps challenge, l’hackathon più grande del mondo, promosso dalla Nasa e dedicato a tutti gli esperti di informatica appassionati di Spazio.
Per 48 ore, nelle città di tutto il mondo, programmatori e ingegneri ma anche scienziati, designer, artisti, insegnanti, imprenditori e studenti si riuniranno per produrre idee e soluzioni innovative a sfide globali per la vita sulla Terra e nello Spazio, basandosi su un approccio di problem solving collaborativo e open-source.
Cinque le sedi italiane dell’evento: Roma, Milano, Napoli, Torino e Vicenza.
Per il 2017 il tema della competizione è la Terra, declinato in cinque categorie: Ideare e creare, Attenzione all’ecosistema, i pericoli prossimi venturi, Planetary Blues, Noi e la Terra. S’inizierà alle 9 di sabato 29, con la registrazione dei partecipanti, la presentazione delle sfide e la formazione dei gruppi. Gli iscritti potranno lavorare ai progetti fino alle 17 di domenica 30 aprile 2017.
Nel 2016 #SpaceApps challenge ha contato più di 160 eventi e 15mila partecipanti in 6 continenti. La partecipazione è completamente gratuita e chi fosse interessato può informarsi sul sito web: 2017.spaceappschallenge.org. (Askanews)
Uno studio italiano mette luce che la morte di neuroni deputati alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell'ippocampo, causandone il "tilt" che genera la perdita dei ricordi.
È stata scoperta l'origine dell'Alzheimer che non è nell'area del cervello associata alla memoria perché all'origine della malattia ci sarebbe la morte dei neuroni nell'area collegata ai disturbi d'umore.
Lo studio è italiano ed è stato pubblicato su Nature Communications. I risultati dimostrano anche che la depressione è una "spia" dell'Alzheimer e non viceversa. La scoperta promette di rivoluzionare l'approccio alla "malattia del secolo".
La ricerca è stata coordinata da Marcello D'Amelio, professore associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia presso l'Università Campus Bio-Medico di Roma. Finora si è sempre ritenuto che la malattia fosse dovuta a una degenerazione delle cellule dell'ippocampo, area cerebrale da cui dipendono i meccanismi del ricordo. Solo in Italia questa patologia colpisce circa mezzo milione di persone.
La ricerca, invece, mette luce sull'area tegmentale ventrale, dove viene prodotta la dopamina, neurotrasmettitore collegato anche ai disturbi d'umore. La morte di neuroni deputati alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell'ippocampo, causandone il "tilt" che genera la perdita dei ricordi.
L'ipotesi è stata confermata in laboratorio, somministrando su modelli animali due diverse terapie mirate a ripristinare i livelli di dopamina. Si è così osservato che, in questo modo, si recuperava il ricordo, ma anche la motivazione.
Sarà davvero una foto molto speciale. Forse ineguagliabile. Sicuramente sarà la foto più incredibile che sia possibile concepire. Stavolta siamo alle prese non con una foto di uno straordinario panorama. Nemmeno abbiamo a che fare con una normale reflex. La lente sarà costituita da radiotelescopi che proveranno a fotografare - udite udite - l’orizzonte degli eventi.
Che cosa è l'Orizzonte degli Eventi
Un orizzonte degli eventi è, nell'accezione più diffusa, un concetto collegato ai buchi neri, una previsione della relatività generale. È definita come la superficie limite oltre la quale nessun evento può influenzare un osservatore esterno.
Secondo la teoria della relatività, lo spazio e il tempo formano un unico complesso con quattro dimensioni reali (detto spazio-tempo), il quale è deformato dalla presenza di massa (o di energia).
Con questo esperimento, gli astrofisici dell’EHT (Event Horizon Telescope) puntano a mettere in luce l’ultimo punto, immediatamente prima del buco nero che è al centro della nostra galassia, la Via Lattea.
Un po' come fotografare l'occhio del ciclone
In un certo senso, sarà come provare a fare una fotografia all’interno dell’occhio di un uragano, solo che, al posto delle nuvole ci sono le stelle, e i venti, saranno fiammeggianti lampi di plasma incandescente. Osservare da vicino il profilo di un uragano e quello di certe galassie, come la nostra Via Lattea, non può non stimolare una certa curiosità riguardante il fatto che entrambi gli oggetti presentano forti analogie morfologiche, con lo sviluppo spiraliforme che essi presentano alla stessa maniera.
E questo lo si deve peraltro alle magie di una certa successione matematica, quella di Fibonacci, che tanto peso ha in natura. Ma se al centro di un uragano troviamo una zona di bassa pressione ‒ l’occhio ‒, cosa si nasconde al centro di una galassia?
Il pozzo che tutto divora:il buco nero
Perché l’espressione giusta è proprio questa: nascondersi. L’occhio di una galassia del tipo che abbiamo menzionato (galassie ellittiche) è generalmente costituito da un oggetto particolare, una sorta di ‒ mi sia concessa questa espressione ‒ “bassa pressione dello spaziotempo”, un pozzo che tutto divora senza far uscire nulla, neppure la luce: un buco nero.
Siamo alle estreme conseguenze di quella teoria che descrive la gravitazione in base a come la presenza di materia produca variazioni nella geometria dello spaziotempo: la Relatività Generale di Einstein. Dopo l’esaurimento del combustibile nucleare, alcune stelle esplodono in modo estremamente violento. Il residuo di ciò che resta può risultare tanto massiccio da curvare le linee dello spaziotempo fino a far scomparire, come in un gioco di prestigio, l’oggetto alla vista, dietro una cortina sferica detta “orizzonte degli eventi” (Event Horizon), la superficie di separazione tra ciò che è visibile e ciò che non può più esserlo: ecco formarsi il “buco nero”, un vorace oggetto che attrae materia per il forte campo gravitazionale di cui è dotato, triturandola e poi divorandola.
A caccia del lamento del Supermassiccio
Guardando verso la costellazione del Sagittario, è come se puntassimo gli occhi verso il centro della nostra galassia, dove si nasconde un mostruoso buco nero che ha però la massa non confrontabile con il residuo di una stella esplosa, bensì con quella di ben quattro milioni di stelle come il nostro sole, un buco nero come si dice “supermassiccio”. Si tratta della sorgente Sgr A* (Sgr sta per Sagittarius). Per definizione, un buco nero non risulta visibile, ma la materia che disgrega e che precipita in essa spiraleggiando sotto forma di gas surriscaldato emette una specie di “lamento” che alcuni ricevitori terrestri opportuni (i telescopi che raccolgono i rumori delle onde radio, i radiotelescopi) possono essere in grado di catturare.
Otto radiotelescopi insieme per un'unica, grande foto
Ai primi di aprile di quest’anno, se le condizioni climatiche contemporanee in alcuni siti sparsi sul pianeta lo consentiranno, otto radiotelescopi congiungeranno le loro forze per captare quei segnali della materia morente attorno a Sgr A* e definire, con la risoluzione più spinta possibile per ottenere una sorta di “fotografia” molto particolareggiata, l’estensione di questo enorme buco nero, la cui dimensione dovrebbe essere di oltre dieci milioni di chilometri. Si tratta del progetto EHT, Event Horizon Telescope, un sistema integrato di radiotelescopi sparsi sulla superficie terrestre quasi a far diventare il pianeta stesso un enorme ricevitore, al fine di raggiungere quell’altissima definizione nella trama dell’immagine che si vorrebbe ottenere.
Sarà un lavoro straordinario che, dopo l’elaborazione di tutti i dati raccolti, tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo offrirà agli studiosi (e non solo!) una mappa di dettaglio di quest’area oscura ma fondamentale fornendo informazioni preziose sulla sua struttura e sull’influenza che esso ha sul resto della galassia. Non dimentichiamo che quest’ultima ruota attorno al suo centro e che anche il nostro sole, alla periferia di uno dei suoi bracci (il Braccio di Orione), si sposta nello spazio alla velocità di circa duecentoventi chilometri al secondo, con tutta la sua corte di pianeti, ruotando attorno al medesimo buco nero che è posto alla distanza di ventiseimila anni luce. Indirettamente, quindi, anche noi siamo interessati... (AGI)
di Emilio Santoro
Fisico Nucleare