di Cosimo Risi
Il colpo di teatro delle sedie contrapposte all’interno della Basilica è merito del senso scenico della diplomazia vaticana. Con quel gesto, Donald Trump si è accreditato da uomo della pace, dimenticando egli stesso e facendo dimenticare a noi che l’interlocutore di fronte non era la controparte negoziale ma l’alleato. Gli Stati Uniti infatti sostenevano, e continuano a sostenere, l’Ucraina nella resistenza alla Russia. E dunque su quella sedia, per essere davvero di fronte alla svolta epocale, avrebbe dovuto stare Vladimir Putin, che invece, nel timore dell’improbabile arresto da parte delle autorità italiane, ha inviato a Roma la Ministra della Cultura.
Trump avrebbe dovuto chiudere la partita ucraina e la crisi a Gaza pochi giorni dopo l’insediamento. Consapevole di averla sparata grossa, si è corretto nell’intervista a Time, derubricando le avventate promesse elettorali in messaggi monitori nei confronti delle parti. America is back and great again. L’America è di ritorno, come se fosse andata altrove, e torna ad esercitare il ruolo egemone alla grande.
Il Presidente è roso dal dubbio che i Russi lo stiano portando a spasso. Incassata l’apertura sul riconoscimento della sovranità sulla Crimea, essi vorrebbero speculare sulla voglia di pace per ottenere altro, prima ancora di intavolare una seria trattativa. Di modo che, al tavolo negoziale, non cominceranno dalla casella di partenza ma dalla posizione più avanzata. Ora che Kiev ha accettato di firmare l’intesa sulle terre rare, Trump può vantare che l’America guadagnerà più di quanto ha speso. Altro che difesa della libertà dall’autocrazia, è una questione di dare e avere: e l’avere supererà il dare come in una buona transazione di affari.
La cifra ideale è abbandonata a favore della cifra mercantile. Se non altro è parlare chiaro dopo anni di retorica idealista che ha intontito anche il dibattito europeo, con l’artificioso schieramento fra coloro che difendono la libertà e quelli che inseguono il tornaconto. Si veda il caso dell’Ungheria.
Acquisire la Groenlandia, riprendere il controllo del Canale di Panama, trasformare il Canada nel 51° stato dell’Unione. La Danimarca, che della Groenlandia ha la “custodia”, si profila come lo stravagante avversario della manovra trumpiana. Stravagante perché ambedue i paesi sono membri NATO. A favore di chi scatterebbe il famoso articolo 5 dell’Alleanza?
Il caso più eclatante è dato dalla vittoria del Partito Liberale in Canada. Dato per sconfitto nei sondaggi, meno venti punti rispetto ai Conservatori, il Partito già di Trudeau ha recuperato e vinto di misura. Mark Carney, nella tradizione dei banchieri centrali convertiti alla politica, sarà il nuovo Primo Ministro a capo di una coalizione. Lo slogan vincente è stato “resistere al tradimento americano”. Il tradimento del rapporto aperto fra i due giganti nordamericani. Per chi sia stato da quelle parti, ad esempio alle Cascate del Niagara, è difficile capire dove sta il Canada e dove gli Stati Uniti.
Il Canada, presidente di turno del G7, si profila come l’alfiere di una alleanza internazionale liberal-democratica, che avrebbe il punto di forza nella cosiddetta anglosfera: il Regno Unito, l’Australia, la Nuova Zelanda. Conterebbe seguaci in seno all’Unione europea con Francia e Spagna in prima linea. Una internazionale della resistenza agli Stati Uniti dal profilo illiberale. Non passano sotto silenzio le polemiche dell’Amministrazione nei confronti della giurisdizione, responsabile di ostacolarne la politica migratoria a suon di cavilli, e contro gli Stati progressisti, California in primis che infatti denuncia l’Amministrazione federale.
In Medio Oriente il via libera accordato al Governo Netanyahu mostra la corda. L’incendio che divampa alle porte di Gerusalemme potrebbe avere origine accidentale o dolosa. Comunque, rivela lo stato d’animo di una parte della popolazione. Gli appelli di Hamas a bruciare tutto sono tanto spaventosi quanto significativi della voglia di vendetta. Il clima malsano, e non solo per il picco di caldo, rischia di portare al collasso lo Stato di Israele proprio in concomitanza del suo settantacinquesimo anno di vita.
Un ripensamento si rende opportuno a Gerusalemme. Un ripensamento s’impone a Washington, anzitutto nei confronti degli alleati tradizionali. La politica dei dazi verso la Cina può riequilibrare la bilancia commerciale, verso l’Unione inasprisce il dibattito già difficile per la sicurezza e per il sostegno all’Ucraina. Non si attendano le elezioni di metà termine. Bisogna presto rivedere lo schema. L’Europa lo dica con amichevole franchezza.
Cosimo Risi, già diplomatico, è stato da ultimo Ambasciatore d’Italia in Svizzera. Attualmente insegna Diritto Internazionale all’Università di Salerno e Relazioni internazionali al Collegio europeo di Parma. Il suo ultimo libro è “Terre e guerre di Israele. Sette anni di cronache mediorientali” (Luca Sossella Editore, 2024)