Trump, Putin e l’Ucraina: verso un nuovo ordine mondiale o il ritorno dell’Onu?

Le aperture di Trump hanno riavvicinato Stati Uniti e Russia, creando opportunità di cooperazione per risolvere il conflitto in Ucraina. Le discussioni tra il presidente americano e il leader del Cremlino potrebbero segnare l'inizio di una nuova era per le Nazioni Unite e l'ordine internazionale.

di AntonGiulio de’ Robertis*

Le aperture di Trump sulla guerra in Ucraina nel suo colloquio telefonico con Putin hanno provocato un salva di commenti critici in Europa. Trump ha reso noto di aver affrontato con Putin tutte le questioni più rilevanti dell’ordine internazionale, di aver concordato il riconoscimento reciproco della grandezza delle rispettive storie nazionali ricordando il comune impegno nel combattere la seconda guerra mondiale e il gran numero di morti subito. Di aver considerato poi i punti di forza delle rispettive nazioni e il grande vantaggio che esse avrebbero potuto trarre dal lavorare insieme, ponendosi come primo obiettivo l’arresto della carneficina della guerra Russo-Ucraina in nome dello stesso motto della sua campagna elettorale: il buon senso.

La storia si ripete?

I critici hanno voluto vedere in questi passaggi i prodromi del ripetersi di eventi storici assai negativi quali la conferenza di Monaco del 1938 e quella di Yalta del 1945 e addirittura le premesse per la nascita di un nuovo ordine internazionale fondato sul “dominio degli imperi”. A parte l’incongruenza con la realtà storica della diffusissima vulgata sulla conferenza di Yalta, dove non vi fu alcun accordo sulla spartizione dell’Europa in zone di influenza, ma anzi il proposito di agire congiuntamente per l’affermazione della democrazia e della libertà in tutti i paesi liberati dalla dominazione nazista, così come risulta evidente dalla dichiarazione sull’Europa Liberata approvata alla fine della conferenza. Non è invece infondata l’ipotesi che si stia di fronte ad un passaggio cruciale della storia europea.

Passaggio storico cruciale

Il punto è però se si tratti di un passaggio verso qualcosa di radicalmente nuovo e pericolosamente imprevedibile nella sue effettive conseguenze o non possa essere invece il ritorno ad un’occasione mancata del passato più recente. Il messaggio di Trump evoca un passaggio storico assai importante cui non si da correntemente adeguata rilevanza nella ricostruzione degli avvenimenti che hanno portato alla fine della guerra fredda.

La prospettiva che Stati Uniti e Russia possano ”lavorare insieme” nella gestione delle questioni più rilevanti dell’ordine internazionale è lo stesso proposito annunciato da George Bush ai parlamentari americani nel settembre del 1990 nel suo resoconto dei colloqui avuti con Gorbaciov pochi giorni prima ad Helsinki, in piena crisi per l’invasione del Kuwait e alla vigilia della riunificazione della Germania. Nella capitale finlandese Gorbaciov aveva riaffermato la sua adesione all’ ordine internazionale sostenuto dall’occidente e proposto a Bush di consolidare il nuovo sistema di relazioni e di cooperazione fra i loro due paesi abbandonando l’attitudine precedente di antagonismo aprioristico secondo la quale ciò che era negativo per gli Stati Uniti era positivo per la Russia e viceversa e di creare un “asse” (termine purtroppo infelice) fra i loro due paesi volto a garantire la pace e la stabilità di un nuovo ordine internazionale.

Rapporto privilegiato e di fiducia con Mosca

Anche allora vi era una grave crisi in corso e proprio quella crisi – affermava Bush rivolgendosi al Congresso – offriva l’opportunità di muoversi verso uno storico periodo di cooperazione con l’Unione Sovietica, una nuova partnership che non avrebbe più consentito ad un dittatore di contare sulla contrapposizione Est Ovest per ostacolare un’azione concertata delle Nazioni Unite per la repressione dell’illegalità e della violenza. Creando un rapporto privilegiato e di fiducia con Mosca gli Stati Uniti ponevano le premesse per la fine della prassi dei veti reciproci che bloccava troppo spesso l’azione del consiglio di sicurezza, rendendo l’ONU un’organizzazione largamente inefficiente.

Oggi la Russia ha recepito le aperture di Trump, che riaprono quella prospettiva, chiarendo però che una pace duratura avrebbe dovuto eliminare “tutte le ragioni che… [avevano] portato all’attuale conflitto”, prima fra tutte il progetto di adesione dell’Ucraina alla NATO, e riconoscere “lo stato di fatto sul terreno”, l’annessione delle quattro provincie ucraine e la fine della guerra economica, ovvero l’abolizione delle sanzioni.

Alla ricerca di una pace duratura

Le successive dichiarazioni del nuovo ministro della Difesa americano Hegseth al gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina soddisfacevano sostanzialmente alcune delle esigenze russe. Nell’indicare come una priorità assoluta l’instaurazione di una pace duratura Hegseth aggiungeva che questa sarebbe stata possibile con una valutazione realistica del campo di battaglia e con la presa d’atto che il ritorno ai confini dell’Ucraina precedenti al 2014 era un obbiettivo non realizzabile. Aggiungeva che gli Stati Uniti non credevano che l’adesione alla NATO per l’Ucraina potesse essere il risultato realistico di una soluzione negoziata che assicurasse una pace duratura e e che non fosse una sorta di Minsk 3. Affermava invece che una pace duratura avrebbe dovuto includere valide garanzie di sicurezza, con una solida supervisione internazionale della linea di contatto, ed essere sostenuta da adeguate truppe europee e non europee, ma non americane, schierate in Ucraina come peacekeeper come parte di una missione non NATO e quindi non coperte dall’articolo 5.

Se tutto questo costituisce un passaggio cruciale della storia europea bisogna interrogarsi sulla natura di questo passaggio. E’ l’abbandono di quel liberal international order invocato a ogni piè sospinto dall’Occidente, ma “reinterpretato” dopo la mancata rielezione di George Bush con il bombardamento di Belgrado attuato senza la sanzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’adozione delle politiche di regime change da parte delle successive amministrazioni americane sia democratiche che repubblicane.

Pur continuando a dirsi sostenitore di un ordine internazionale liberale l’Occidente ne ha violato ripetutamente i principi e pur ribadendo ad ogni piè sospinto di essere a favore di un rules based international order, ha agito secondo regole che però in più di un’occasione costituivano una violazione del diritto internazionale e dello statuto dell’ONU. Tant’è vero a che i BRICS nella loro recente dichiarazione di Kazan richiamavano tutti gli stati ad agire in modo coerente con gli scopi e i principi del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite nella loro interezza e interrelazione.

Le aperture di Trump hanno avviato una dinamica negoziale di grande respiro se già nei colloqui di Riad, che ne sono seguiti, fra il segretario di Stato americano Rubio e il ministro degli esteri Russo Lavrov è emersa la conferma che la prospettiva di “una conclusione positiva del conflitto in Ucraina” favoriva la dinamica del riavvicinamento fra i due paesi per dar luogo ad “una futura cooperazione su questioni di reciproco interesse geopolitico nonché su opportunità storiche economiche e di investimento”. Arrivando poi a progettare la creazione di un “meccanismo di consultazione per eliminare le tensioni nelle… relazioni bilaterali”. Da tutti questi sviluppi non pare azzardato attendersi una nuova stagione per l’ONU e per la piena conformità al suo statuto delle rules su cui si “baserà” l’ordine internazionale.

*AntonGiulio de’ Robertis è professore ordinario di Storia dei Trattati e Politica Internazionale all’Università di Bari e membro dell’Advisory Board di Italia.co

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