Ecco chi dice “Europa sempre meno attraente”

Le svolte anti-europeiste dei leader di Georgia e Serbia segnalano un indebolimento del richiamo dell’UE. Per rilanciare l’allargamento, Bruxelles dovrebbe concentrarsi sui Paesi candidati che dimostrano reale volontà di adesione. O la crisi sarà sempre più evidente.

La guerra in Ucraina ha riportato al centro dell’agenda europea il tema dell’allargamento, ma non ha risolto la crisi di credibilità dell’Unione. In Georgia e Serbia, due Paesi formalmente candidati, i rispettivi governi stanno di fatto abbandonando il percorso di adesione, preferendo una cooperazione selettiva che consenta benefici economici senza sottostare agli standard democratici e giuridici richiesti da Bruxelles.

In Georgia, il primo ministro Irakli Kobakhidze ha annunciato il congelamento della candidatura fino al 2028, accusando l’UE di interferenze dopo le critiche europee alle elezioni contestate del 2024. Il partito al governo, Sogno Georgiano, reprime la società civile e promuove una narrativa conservatrice, sostenuta anche da Viktor Orbán, che propone un’“altra Europa”, più vicina ai “valori cristiani” che Tbilisi rivendica.

Anche in Serbia, il presidente Aleksandar Vučić continua i negoziati formali con l’UE, ma nei fatti rallenta il processo. Pur mantenendo rapporti economici e accordi mirati con l’Unione, evita le riforme sullo stato di diritto e mantiene legami con Mosca e Pechino. L’UE non ha reagito con fermezza né in Georgia né in Serbia, frenata dalle divisioni interne e dal timore di perdere questi Paesi a favore della sfera d’influenza russa o cinese.

Questa strategia, definita “equilibrismo geopolitico” (in alternativa a “multivectoring”), consente alle élite al potere di trarre vantaggi multipli senza fare concessioni strutturali. Tuttavia, la stabilità che ne deriva è illusoria: in Serbia, le proteste popolari indicano un crescente malcontento; in Georgia, la forte popolarità dell’UE tra i cittadini rischia di acuire la polarizzazione interna.

Per evitare che l’allargamento si svuoti di senso, l’UE deve rivedere il proprio approccio: proporre percorsi flessibili di cooperazione, ma riservare i vantaggi più significativi ai Paesi che mostrano reale volontà di riforma. L’adesione non può essere imposta, ma nemmeno svenduta. (Dimitar Bechev)

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Carnegie Europe con il titolo The EU’s Waning Attractiveness

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