di Cosimo Risi
La copertura mediatica è senza precedenti, tutti a guardare le immagini sgranate del primo saluto, la breve parata militare, il passaggio a bordo della Bestia, lo scambio di battute nell’incerto inglese del russo, la ostentata cordialità dell’americano. E poi la foto di gruppo: i due Presidenti sulle seggiole l’una accanto all’altra, la teoria dei dignitari interrotta dai due interpreti, e poi i Ministri degli Esteri, il veterano Lavrov ed il novizio Rubio, i consiglieri, gli inviati. C’erano anche i rispettivi Ambasciatori a Mosca e Washington?
Il risultato del vertice è racchiuso nel grumo di immagini. Non conta il bottino da portare a casa, il cessate il fuoco su cui si ostinava l’annuncio preparatorio di Trump è rinviato alla soluzione globale, quanto il dato esteriore. Gli Stati Uniti riconoscono alla Russia il rango di grande potenza con cui dialogare alla pari. Risarciscono la frattura di Obama che la definì “potenza regionale”.
Vladimir Putin non è il ricercato della Corte Penale Internazionale ma uno stimato e cordiale interlocutore con il quale “we can do business”, tanto per rammentare quanto Margareth Thatcher dichiarò di Mikhail Gorbachev. Con i Russi si può non essere d’accordo in linea di principio, vivono acriticamente in un regime autocratico mentre noi viviamo criticamente in un regime democratico, ma con loro si possono concludere intese all’insegna della comune convenienza.
La scelta dell’Alaska è significativa. È il confine fisico fra le due potenze globali, è il terreno in cui sviluppare le prospezioni minerarie ora che l’Artico si scongela ai traffici. Pare che, in segno di disgelo appunto, Putin autorizzi Exxon Mobil a rientrare nel capitale dell’impresa petrolifera russa. L’inasprimento delle sanzioni lasciamolo agli Europei. Putin auspica che questi assieme all’Ucraina non frappongano ostacoli alla pace. Pursuing Peace è il motto che domina il vertice, eternato dalle telecamere del mondo.
La pace: come e quando? La domanda è lecita, considerato che il vertice non ha prodotto il cessate il fuoco, anzi i droni russi intensificano gli attacchi alle postazioni ucraine, non ha apparentemente prodotto un preciso calendario di incontri, neppure del vertice a tre in data ravvicinata, non ha delineato il profilo dell’accordo finale se non il generico richiamo di Trump allo scambio di territori. Scambio significa che io cedo un pezzo a te e tu cedi un pezzo a me. La sola parte a cedere sarebbe l’Ucraina. Più che uno scambio si direbbe una mutilazione consensuale.
Ecco allora la reazione vibrata dei media ucraini. Memori del faccia a faccia di febbraio alla Casa Bianca fra Zelenskyj e Trump, trovano indecente il trattamento d’onore riservato all’aggressore Putin. È o non è l’avversario strategico di Occidente, come si affretta a ricordare l’Alta Rappresentante UE. Kaja Kallas mescola il sentimento nazionale estone con l’interesse europeo, ignora la sana regola dell’understatement nel linguaggio diplomatico.
Trump sta cercando di chiudere una guerra che non avrebbe dovuto scoppiare nel 2022. Glielo riconosce magnanimamente Putin con riferimento polemico a Joe Biden. Una guerra che avrebbe potuto concludersi sulla base della mediazione turca, dopo avere costatato che il non intervento NATO ne avrebbe segnato l’esito. Per ricorrere al linguaggio calcistico, fra le due squadre non c’era partita, mentre continua la tragica condivisione delle vittime (milioni da ambedue le parti, intere generazioni annientate) e delle distruzioni. Nel 2025 Trump rattoppa le conseguenze di una campagna orgogliosa quanto sfortunata.
Il rischio ora è che Trump resti insoddisfatto delle risposte russe ed europee alla sua iniziativa e decida di perseguire l’interesse bilaterale. In questa ipotesi, il conflitto in Ucraina diverrebbe quello che egli stesso ha definito un affare europeo. Sarebbe da vedere con quale capacità degli Europei a farvi fronte in maniera onorevole, senza però calcare gli stivali dei propri soldati sul terreno. L’allusione di Macron a truppe francesi in Ucraina è respinta dalla Russia, tutto vuole tranne che una forza NATO ai propri confini. Potrebbero soccorrere l’impegno americano alla sicurezza dell’Ucraina sul modello dell’articolo 5 NATO o il cosiddetto modello Israele.
Il vertice è di per sé un evento positivo. Con l’avversario strategico occorre parlare, specie se sul campo è in posizione di vantaggio. Quando, dove, cosa discutere è affidato alla buona volontà delle parti. Trump cerca la copertura europea e dell’Ucraina in primo luogo. Invita Zelenskyj alla Casa Bianca, con lui probabilmente anche alcuni dirigenti europei. Per fare il punto tutti assieme e cercare il consenso sulle mosse future. Perché nessuno, al dunque, si chiami fuori.
Il metodo negoziale non è ortodosso, nulla lo è in questa campagna di aggressione ad un paese sovrano etichettata da operazione militare speciale.
________
Cosimo Risi, già diplomatico, è stato da ultimo Ambasciatore d’Italia in Svizzera. Attualmente insegna Diritto Internazionale all’Università di Salerno e Relazioni internazionali al Collegio europeo di Parma. Fa parte dell’Advisory Board di Italia.co. Il suo ultimo libro è Terre e guerre di Israele. Sette anni di cronache mediorientali (Luca Sossella Editore, 2024)