Secondo Il Giornale, l’inchiesta sul torturatore libico Abd Alrahman Almasri non sarebbe solo una questione giudiziaria, ma un vero e proprio attacco politico all’Italia e al governo di Giorgia Meloni. Il motivo? La premier sarebbe diventata troppo influente in Europa, troppo stabile e troppo vicina a Donald Trump, il che darebbe fastidio a molti.
Una fonte anonima citata dal giornalista Fausto Biloslavo sostiene che dietro questa vicenda ci sarebbe un disegno per compromettere i rapporti tra Roma e Tripoli, oltre a ostacolare le iniziative italiane in Africa e Medio Oriente. I principali sospettati sarebbero la Germania e la Corte Penale Internazionale, che avrebbero messo in moto una strategia per colpire l’Italia su più fronti.
Fughe di notizie e documenti riservati
A sostegno di questa teoria, Il Giornale parla di una vera e propria campagna di pressione, condotta tramite Telegram e altri social, che avrebbe diffuso documenti riservati della procura di Tripoli. Questi documenti rivelerebbero contatti tra i servizi segreti italiani e i trafficanti di esseri umani, risalenti al 2017, durante il governo Gentiloni.
Sono state pubblicate anche fotocopie dei passaporti diplomatici di alcuni agenti italiani, tra cui il capo dell’Aise (i servizi segreti esteri) Giovanni Caravelli. Inoltre, le partenze di barconi dalla costa libica a gennaio sarebbero state favorite da Ahmad Dabbashi, detto Al Ammu, un potente capo miliziano di Sabrata.
Il nodo energetico e i giochi di potere
Un altro elemento del presunto complotto riguarderebbe gli interessi economici in Libia, in particolare l’assegnazione di importanti giacimenti petroliferi. Questi, secondo il piano italiano, dovrebbero essere affidati a un consorzio guidato da Eni, a discapito della compagnia francese Total. Un’ipotesi che avrebbe scontentato diversi paesi europei, i cui governi non sarebbero riusciti a difendere i propri interessi attraverso i canali diplomatici o i servizi segreti.
L’arresto di Almasri e il ruolo della Germania
L’intricata vicenda giudiziaria di Almasri si inserisce in questo quadro di tensioni geopolitiche. Il 10 luglio 2024, tre mesi prima della chiusura dell’indagine della Corte Penale Internazionale, il nome di Almasri era stato inserito nella “blue notice” dell’Interpol, un avviso riservato visibile solo alla polizia tedesca.
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Il 18 gennaio 2025, questa segnalazione è stata estesa ad altri paesi europei, tra cui Belgio, Regno Unito, Austria, Svizzera e Francia, ma non all’Italia, dove invece, secondo il quotidiano, i tedeschi sapevano che Almasri si era diretto. Alle 22:55 dello stesso giorno, la Corte dell’Aja ha richiesto di sostituire la “blue notice” con una “red notice”, cioè un mandato di cattura internazionale, che a quel punto è stato esteso anche all’Italia.
Curiosamente, all’interno della Corte Penale Internazionale non tutti i giudici erano favorevoli a questa decisione. La giudice messicana Maria del Socorro Flores Liera ha votato contro l’arresto, affermando che, pur riconoscendo la gravità dei crimini di Almasri, la Corte non avrebbe la giurisdizione per processarlo. Secondo la giudice, si starebbe cercando di forzare un collegamento con la rivolta libica del 2011, un’interpretazione che non avrebbe basi giuridiche solide né nel diritto internazionale né nei trattati della Corte.
Un intreccio tra giustizia e geopolitica
Se le ipotesi de Il Giornale fossero vere, il caso Almasri non sarebbe solo una questione giudiziaria, ma un episodio chiave di una partita più grande, in cui la stabilità del governo italiano e i suoi interessi economici e strategici in Libia starebbero attirando pesanti interferenze internazionali. Un braccio di ferro tra potenze europee, servizi segreti e istituzioni internazionali, con Roma al centro di uno scontro che potrebbe avere ripercussioni ben oltre il caso specifico.