I primi sei mesi di Donald-Caligola

La resa dei tecnocrati europei al populista autocratico presidente americano: la foto con Ursula von der Leyen non è solo un'umiliazione, ma il simbolo del fallimento di un'intera classe dirigente nel suo sogno di governo basato sulla ragione.

di Fabrizio Tonello

Dopo 180 giorni di Trump alla Casa Bianca una domanda si impone: «Cosa si può fare quando si deve convivere con un Caligola dotato di 5.177 testate nucleari?». Un Donald-Caligola che è il Commander-in-Chief di circa 2 milioni di soldati?

Al centro c’è il padrone di casa, che incidentalmente è anche il presidente degli Stati Uniti in carica, e alla sua destra c’è Ursula von der Leyen. A fare da cornice ai due c’è un gruppo di dignitari, come si sarebbe detto un tempo, i cui volti sono probabilmente noti solo a chi segue professionalmente la politica europea. Tutti, a eccezione di due donne che sono a sinistra nell’immagine, fanno il segno del “thumb up” come Trump e von der Leyen.

Si è detto che questa è l’immagine che simboleggia l’umiliazione dell’Europa e il fallimento politico della presidenza von der Leyen. Possibile. Ma a pensarci bene, la foto di Turnberry potrebbe essere usata anche per illustrare uno slittamento di paradigma politico le cui conseguenze vanno ben oltre gli effetti economici, probabilmente disastrosi, dell’accordo sui dazi commerciali imposto da Trump ai suoi interlocutori europei.

A fare il gesto del pollice, infatti, sono gli eredi di un grandioso esperimento (almeno nelle intenzioni) di ingegneria sociale, quello di sostituire la politica come era stata intesa per un paio di secoli (diciamo dal 1789 al 1989) con una diversa forma di governo, che ambiva a essere democratica, in un qualche senso da specificare, e che tuttavia sarebbe stata anche tecnocratica, cioè avrebbe messo alla guida dei processi decisionali non dei capi partito, ma degli esperti. La realizzazione del sogno di Henri de Saint Simon di sostituire «l’amministrazione delle cose al governo degli uomini». Se pensate che la frase suoni male, dopo il secolo dei totalitarismi, avete perfettamente ragione, ma è bene ricordare che l’aristocratico francese che l’ha coniata, ai suoi tempi, era considerato un progressista, ed è stato uno dei fondatori del socialismo francese. Non a caso tra coloro che hanno ripreso la frase di Saint Simon c’è il “socialista scientifico” Friedrich Engels.

L’ideale tecnocratico è figlio dell’aspirazione illuminista a una politica guidata dalla ragione, e per questo lo ritroviamo, declinato in modi diversi, sia nella tradizione liberale sia in quella socialista, che sono entrambe figlie dell’illuminismo politico. A diffidare della tecnocrazia sono stati a lungo soprattutto i conservatori, a cominciare da Edmund Burke, convinti che l’esito finale di una politica razionale sia inevitabilmente la dissoluzione dei legami sociali sostenuti dalla tradizione, e che questo avrebbe aperto la strada a rivoluzioni come quella francese.

Nel secondo dopoguerra l’ideale tecnocratico riemerge nel contesto della guerra fredda. Sia gli Stati Uniti sia l’Unione Sovietica lo riprendono, reinterpretandolo in modo da adattarlo alla propria concezione della società e della democrazia. Oltre l’Atlantico, tuttavia, sono soprattutto i liberal a vagheggiare un futuro in cui la democrazia sarebbe stata un regime tendenzialmente meritocratico, nel quale la ragione avrebbe indicato la via del progresso.

Più diffidente la destra, e i democratici del sud, che hanno una concezione “populista” della democrazia, che sovente si intreccia con motivi nostalgici (“progresso” e “ragione” sono visti come ideali che erodono la supremazia dei bianchi). Ai margini del partito repubblicano cominciano a prendere piede idee che, con il passare del tempo, finiranno per diventare sempre più influenti sul piano culturale e politico. In particolare a seguito della piena adesione alla visione tecnocratica da parte dei democratici negli anni delle presidenze Clinton e Obama.

Con Trump, le posizioni che un tempo erano ai margini raggiungono un’egemonia che, specie nel secondo mandato, sembra trovare tra i propri principi guida la rivolta contro la tecnocrazia (incarnata, di volta in volta, dall’accademia, dagli intellettuali, dalle burocrazie o dall’establishment politico).

In Europa, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’ideale di una democrazia tecnocratica trova nel progetto europeo il proprio terreno di coltura più fertile. Se i totalitarismi fascista e comunista (gli “opposti estremismi” di cui scrivono certi storici ansiosi di liquidare con il comunismo anche le conquiste delle lotte del movimento operaio) erano patologie generate da una politica schiava delle passioni, sarebbe stata la tecnica (neutrale, scientifica, capace di bilanciare gli interessi) a porre le basi di un nuovo modo di governare, finalmente al riparo dal pericolo di derive populiste.

Anche nel nostro continente è la sinistra a essere particolarmente sensibile a questa chimera, che offre una via d’uscita attraente sia per gli orfani del comunismo che cercano una nuova identità politica, sia per gli epigoni di un socialismo democratico che, dopo la fine del comunismo, appare vincente, ma allo stesso tempo ha smarrito la propria ragion d’essere. Sono gli anni del centrismo riformista (la Terza Via) quelli nei quali la visione tecnocratica della politica diviene egemone in Europa.

In retrospettiva, la vittoria della Brexit, proprio nel paese che aveva fatto da test alla reinterpretazione tecnocratica del socialismo democratico, può essere considerata il primo sintomo di un cambio di paradigma che avviene per via degli effetti di diversi shock (crisi finanziaria, pandemia, guerre in Ucraina e in Palestina).

Al cospetto di questi eventi, una classe dirigente cresciuta nel culto dell’amministrazione delle cose come propria missione non riesce più a governare gli uomini. Le conseguenze di quello che è in primo luogo un disallineamento cognitivo ci conducono fino ai giorni nostri e a quella foto scattata a Turnberry: alcuni tecnocrati, guidati da un’aristocratica, alzano il pollice per compiacere l’araldo di un nuovo tipo regime, plutocratico e demagogico. Sorridono tutti, ma i tecnocrati con scarsa convinzione. Ad astenersi dal gesto del pollice solo due donne.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Il Manifesto, che ringraziamo

 

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